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Considerazioni Osteopatiche in libertà / p. 2

[segue da parte 1]

…”Strutturale cervicale si? no!”… questo era il mio pensiero quando finii la scuola e mi diplomai nel 2002…

Soprattutto il rachide cervicale mi trovava sbilanciato, con la sensazione di non averlo nelle mie corde ma anche di non essere io nelle sue: non eravamo fatti l’uno per l’altra 🙂 Non posso chiamarla paura ma la sensazione è la stessa di quando devi comportarti in un modo che non ti appartiene…come quando all’età di 7 anni mia madre volle che, in occasione del saggio di chitarra classica alla Scuola Civica di Corsico, indossassi la giacchina color vinaccia che “…ti sta benissimo…” soprattutto con il dolcevita color panna sotto; delusi mia madre entrando sul palcoscenico della sala anfiteatro senza giacchina e con la sola dolcevita…(fosse stata nera avrei potuto precorrere Jobs 🙂 ) ma quel brano di Sagreras risuona ancora nella mia testa (come può un chitarrista suonare con la giacchina? soprattutto quando la mia chitarra medium-size aveva in bella mostra l’adesivo del concerto di Woodstock sulla cassa (!)…opera di mio fratello Valerio, l’attore, hendrixiano midollare.

Ognuno quindi cerca la sua modalità per affrontare le proprie prove…la cosa importante è conoscere e cercare di capire il perchè alcuni meccanismi non si attivano…dove è quel maledetto selettore, quel bottoncino che attiva tutto, che permette un download alla Matrix delle tecniche …

Purtroppo non ho mai sopportato di sentirmi riferire di “osteopati” che lavorano a distretti e in sedute successive (oggi il cranio, la prossima volta strutturale, però solo arti inferiori perché i superiori la prossima volta!! la mando da un collega che è esperto in problemi e tecniche strutturali agli arti superiori!!) amici carissimi vorrei fossero solo battute per fare il comico ma ahimè questo è un caso capitato per davvero; altri che scelgono una categoria di tecniche e le utilizzano non in un paziente che ha quelle specifiche problematiche (i.e. tecniche viscerali per paz. con ernia jatale) ma che utilizzano solo una categoria quale che sia la problematica e la sua origine, perchè in quella sono dei “campioni”. Capisco ma non la giustifico soprattutto se utilizzata a sproposito per fini ingannevoli verso i pazienti.

Dalla fine della scuola passarono almeno 2 anni prima che le tecniche di thrust come per magia divenissero “semplici” e “efficaci”. In quei due anni lavorai molto con i miei amici e compagni di lavoro, Emilio Maggi e Alessandro Fugazza, e in particolare fu Ale a darmi la fiducia che mi mancava…offrendosi come cavia per le tecniche, cosa che già facevamo prima del Diploma e nelle cliniche che ci inventavamo per affinare le tecniche.

Nelle disfunzioni cervicali le tecniche che fino a quel momento utilizzavo erano le funzionali, le miotensive e quelle ad energia muscolare secondo quanto ci era stato insegnato a scuola…anche se Sutherland era veramente scomodo. I thrust mi affascinavano per la loro precisione, per l’estetica e per la loro efficacia così immediata, quando correttamente impostati..ecco forse era quella la chiave, quello il modo per poterne beneficiare, capire e affinare la posizione con il tensionamento e il piccolo impulso, piccolo per ampiezza e di alta velocità…ci vollero numerosi pazienti e molti mesi.

Cosicchè mi ritrovai ad eseguire le tecniche di manipolazione strutturale delle cervicali senza che neanche me ne accorgessi (!)…”all’8° anno” come ho sempre detto ai miei studenti del corso di vertebrale quando al 3° anno di corso, affrontando le cervicali, mi rivedevo in loro con le stesse perplessità, timori e una grande “?” che usciva dalla testa (talvolta mi spaventava di più un “!“). Dicevo loro che non dovevano correre per imparare ad imitare, scimmiottare, le posizioni che vedevano eseguire da me o dagli altri insegnanti o dai tutor, ma dovevano digerire e metabolizzare la tecnica raggiungendone la conoscenza adeguata per non creare danni e per non renderne nulla l’efficacia; con il tempo sarebbero arrivati a scegliere la strada per loro congeniale, per ognuno, singolarmente.

[Ritengo fondamentale quanto ho trascritto alcuni mesi fa su FB, partendo da un aforisma, sul principio di insegnare dubbi, non certezze e soprattutto di insegnare a dubitare sempre di ciò che insegni…porre il dato critico come filtro per quanto si riceve ma anche per quanto si da…non credendo mai al fatto che ciò che insegni sia stato chiaro ma fare come nel mio adorato jazz “registrando” takes e alternative takes].

Come si può uscire da questo labirinto?

Personalmente penso fondamentale sia la presa di coscienza dei propri limiti e nel riconoscere che tali limiti siano solo volontariamente nostri e che, citando S. Zanolli, “la consapevolezza della paura, la possibilità dell’osservarla senza negarla, sono punti di partenza per uscire dal circolo vizioso che aggiunge paura a paura” e che, ancora S.Z., “solo prendendo coscienza di quanto deboli ed esposti siamo agli stimoli esterni saremo in grado di controllarli”*

*Sebastiano Zanolli “Paure a parte” – FrancoAngeli Ed. 2006

L’aspetto che ho trovato interessante è quanto si possa essere indotti nella fragilità e nei dubbi del nostro operato quando non ci si metta in posizione neutrale nei confronti dell’altro, del nostro paziente. Si deve però tenere ben presente cosa sia la “neutralità” che non considero affatto l’essere asettici, distaccati bensì compassionevoli ma non di riflesso. Neutri nel senso del non aggiungere del “nostro” al “loro”. Parole grosse, si! perché se si è vitali, viventi e nutriti dal mondo, si è anche coinvolti da tutto ciò che ci riguarda (la vita, gli affetti, il lavoro, la politica, l’economia…) ma non si debbono trasformare questi elementi in filtri o peggio in elementi additivi.

In quanto segue illustrerò il mio modo di interagire con il paziente, in particolare per problematiche che coinvolgano il tratto vertebrale cervicale anche se ritengo queste “note” o “cenni” universali.

Quando lo si approcci dobbiamo utilizzare delle regole precise e dei protocolli di valutazione che poi perfezioneremo rendendoli nostri, standard per il nostro modo di lavorare. Devo fare due precisazioni:

1. non mi sto contraddicendo parlando di protocollo perché, mentre li trovo penalizzanti nelle tecniche (fatto salvo alcune precise indicazioni che vedrò di segnalarVi prossimamente) così non li considero nei test che dal generale si devono dirigere poi al particolare (“l’aquila e la tartaruga” per citare uno dei miei maestri: l’amico Pascal Ceyrat DO MROF)

2. standardizzare il nostro modo di lavorare non è un limite e non è neppure un’applicazione fantasiosa ma è il risultato di un processo di organizzazione dei dati acquisiti per poi organizzare il programma terapeutico (test e normalizzazioni osteopatiche)

3. Capita spesso di seguire corsi, di leggere pubblicazioni, dove si introducono nuovi metodi di valutazione e di indagine. Alcune volte questi nascono per caso, per la curiosità degli operatori, dei professionisti, che utilizzano alcuni test che divenendo ripetibili e riproducibili possono essere considerati validi.

I test, che ricercano disfunzioni di mobilità, devono essere necessariamente meccanici, cercando i movimenti delle vertebre nei tre piani dello spazio, attorno agli assi ortogonali ai piani. Qui di seguito alcune immagini schematizzate dei tre movimenti che debbono essere sempre visualizzati dall’osteopata quando si eseguino i test.

20120805-181036.jpg

Movimenti sagittali (flessione/estensione) sul piano sagittale

attorno ad un asse trasversale

20120805-181047.jpg

Movimenti di inclinazione laterale [SB side-bending] (destro o sinistro) sul piano frontale

attorno ad un asse antero-posteriore (nell’immagine un SB sin)

20120805-181053.jpg

Movimenti di rotazione [R] (destra o sinistra) sul piano orizzontale

attorno ad un asse verticale

Dobbiamo considerare che biomeccanicamente i movimenti in E o F, che possono interessare “coppie” funzionali e movimenti isolati di una vertebra rispetto la sottostante, vedono associarsi movimenti di rotazione e inclinazione omolaterale. Quando si abbiano le curve di ampi gruppi di vertebre (i.e. scoliosi) si assiste ad una R che è opposta al lato di SB. Oltre alle scoliosi possiamo riferirci alla “pisa syndrome” [una NSR tardiva talvolta reversibile anche con terapia farmacologica] che puó riscontrarsi in pazienti affetti da patologie neurologiche come il Parkinson o in pazienti trattati con Risperidone (Altzheimer disease).