Commentario Osteopatico

Cosa significa QUALITÀ?

forse dovremmo ridiscuterne i limiti semantici perchè come spesso accade l’utilizzo oltremisura ne determina un rapido e precoce disuso non nel colloquio ma nella reale correlazione , come diceva la mia prof. di italiano (G. Patti) il significante e il significato. Oserei quasi dire che tra qualche tempo potrebbe essere addirittura eliminato dal nostro vocabolario e forse anche dal dizionario della lingua italiana e sostituito dal termine più in voga degli ultimi tempi: pressapochismo. Quest’ultimo non sicuramente un sinonimo 🙂

Il “pressapoco” è divenuto una unità di misura che evitata dai geometri, dagli architetti e da coloro che utilizzano formule matematiche dove la “,” (leggi virgola) ha importanza sia in ciò che precede che sopratutto in ciò che segue, viene usata regolarmente da una larga parte dei professionisti “della salute”. Purtroppo la coscienza del suo utilizzo per una scarsa mancanza di regole matematiche nella “medicina” quando non molecolare, viene dimenticata con l’abuso di un pressapochismo eletto a regola aurea di comportamento (…tanto poi…) .

La qualità sembra un elemento in via di estinzione, un particolare che viene trascurato non solo per noncuranza individuale ma anche di gruppo. Un inutile elemento che un tempo abbelliva e valorizzava l’operato di ognuno ed oggi appesantisce i discorsi e li trasforma in ridondanti noiose ed alquanto demagogiche dissertazioni al limite della filosofia.
Perchè sprecare tanto tempo con q u a l i t à, termine pieno di inutili perdite di tempo prezioso e remunerativo ? meglio indurre in tentazione del con-sonante termine q u a n t i t à … luogo in cui campeggia l’efficienza e la produttività.

La lentezza del procedere minuzioso, qualitativo mi porta ad introdurre ciò che distingue un altro termine confuso che è efficacia, talvolta non proprio compagno dell’efficienza.

Che fare allora? Cercare di esigere che alla qualità si affianchi l’efficacia, terapeutica diremo noi osteopati, medici o figure alle quali è chiesto di ottenere risultati sullo stato di salute e benessere dei nostri pazienti. L’esigenza nasce dal fatto che tutto il nostro operato prevede tempi e modalità accurate, stabilite da protocolli che molte volte sfuggono dalla realtà concreta e cruda. Molte delle tesi osteopatiche che mi è capitato di leggere o commentare ma anche delle quali sono stato relatore, avevano un vizio formale diffuso ed accettato … nessuna aveva mai cercato di trovare una relazione tra quantità / qualità / efficacia / efficienza.
In parole povere avere un numero basso di sedute, con un impatto sensibile sul decorso prognostico della sintomatologia. Questo porterebbe ad avere per ogni singolo paziente una risoluzione della sintomatologia con una quantità minore di sedute, mantenendo però alto lo standard qualitativo e d’efficacia a lungo termine.

Perché mi dilungo con questo argomento? Perché se come chirurgo eseguissi frequentemente interventi chirurgici con alta percentuale di recidiva e bassa efficacia terapeutica sarei considerato come “incompetente” e non avrei  la considerazione che mi permetterebbe di lavorare.
Se tentiamo di applicare questo metodo di valutazione al nostro operare osteopatico ecco che le cose diventano più difficili perchè non vi sono reali standard di riferimento ripetibili e le percentuali di efficacia, messe in discussione anche in alcune tesi osteopatiche,  sottolineano sempre a fine lavoro la frase “…ulteriori lavori a lungo termine … ulteriori campioni di valutazione …”. Se questi sono i risultati di un difficile tentativo delle scuole di osteopatia di portare l’efficacia riconosciuta è, a mio avviso, fondamentale che anche il singolo professionista, non cedendo al “lato oscuro della forza”, faccia autocritica nel tentativo di migliorasi sempre più e per ottenere parametri di efficacia e qualità ripetibili e confrontabili.

Anedotticamente vi racconterò di un recente incontro con una paziente, giunta alla mia attenzione per eseguire una ecografia della regione del collo in esiti di tiroidectomia totale per carcinoma, affetta da disfonia da correlato coinvolgimento dei n. ricorrenti e paralisi incompleta delle corde vocali. La paziente, in follow-up oncologico, era stata anche sottoposta a “radio iodio terapia” con Iodio131.
L’ecografia negativa veniva effettuata con studio complementare FUSAE degli scivolamenti tra fascia cervicale superificiale e media e studio dinamico della deglutizione esofagea cervicale. Come dato anamnestico la paziente riferiva sensazione di tensione anteriormente alla regione tracheale (!) e postero-lateralmente dagli SCOM alle regioni laterovertebrali scaleni anteriori e medi compresi.
Chiesi alla paziente se si era sottoposta a trattamenti fisioterapici, osteopatici o altro per cercare di risolvere la tensione fasciale e mi rispose che “si era stata da un osteopata” che le aveva spiegato che la sua sensazione era legata ad un problema diaframmatico ed a una ernia jatale con reflusso gastro esofageo. La paziente gli rispose che non aveva però i disturbi che le erano stati ricollegati al reflusso. Dopo una serie di manovre di “riduzione” dell’ernia jatale la paziente venne dimessa dal collega. Il risultato fu che da quel momento la paziente iniziò ad avere reflusso con pirosi retrosternale e saltuari dolori interscapolari inferiori e posteriori come da esofagite. Ora è in terapia con inibitori di pompa protonica ( _prazolo ).

Quindi… che una tensione cervicale possa essere correlata al diaframma ed ad una presunta ernia jatale risulta verosimile e credibile ma che siano escluse le correlazioni anatomiche “loco-regionali” (santa anatomia topografica!! e santissimo Testut 🙂 ) con un intervento di chirurgia del collo lì da vedere  mi pare forse azzardato.

Questo caso mi fa ricordare quello analogo di una paziente con dolori ad entrambe le ATM a cui un noto osteopata della mia zona aveva trovato correlazione con il coccige in disfunzione…peccato che la paziente fosse stata operata in Ch. maxillo-facciale per una III classe, assai invalidante.

” l’olismo a tutti i costi è il peggior nemico dell’efficacia”