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Lo Sterno e i suoi dismorfismi

Recentemente ho potuto confermare come la nostra attualità  sia il riflesso di interferenze “trasversali” a processi che altrimenti si muoverebbero in direzioni lineari…ma senza alcuna perturbazione tutto sarebbe davvero “lineare”?

Quando studi all’università dapprima nelle aule della facoltà di medicina e chirurgia e poi nei vari reparti o divisioni che trovano la tua particolare predisposizione…feeling, puoi cominciare a subire una mitosi intellettuale che ti porta a sepimentare, dividere l’aspetto scientifico da quello umoral-sentimentale, distinguendo “ció che sembra” da “ció che è” e “ció che è” da “ció che ti viene detto”. Aumentando sempre più l’interesse critico e sperimentale, la curiosità ed il rispetto per chi si rivolge a te per un parere.

Negli anni in cui da studente di medicina frequentai la chirurgia toracica a Milano, ebbi l’opportunità di seguire numerosi casi di chirurgia toracica “ricostruttiva” per malformazioni (dimorfismi) sternali.

Come dovrebbe essere noto i dismorfismi sternali si dividono in due principali categorie che fanno riferimento alla presenza di una carenatura (estroflesso) o di un affossamento (introflesso). Gli sterni “carenati” e “a imbuto” sembrano poi trovare una tipologia di confine nel tipo “carenato trasverso alto”…ragioniamoci un poco sopra.

Nel petto (così detto nel gergo chirurgico) carenato il profilo sternale è caratterizzato da una sorta di carenatura navale che si estende dall’angolo di Louis all’articolazione sterno-xifoidea. Se vi capitasse di osservarli si possono riscontrare alcune varianti: una nella quale l’intera struttura del corpo sternale si posiziona “ventrale” rispetto al piano delle articolazioni sterno-costali (articolazioni condrali); una seconda dove il corpo sternale è come se fosse percorso da una linea longitudinale (origine embriologica dei “cordoni sternali”) con una palpabile cresta mediana.

Nel petto carenato trasverso alto è l’angolo tra manubrio e il corpo sternale (angolo sternale o angolo di Louis) ad essere caratteristicamente prevalente, sormontante il piatto sternale. La sua convessità anteriore  aumenta diminuendo l’apertura posteriore dell’angolo. A questo si associa spesso una anomala curvatura delle clavicole.

Al contrario nel torace “ad imbuto”, escavato, lo sterno di trova depresso, introflesso, con interessamento prevalente del corpo e mantenimento di una posizione relativamente più ventrale del manubrio; in quest’ultimo le clavicole fungono come da blocchi, come “piloni” di rinforzo all’indietreggiamento dell’insieme mentre il tratto vertebrale dorsale in fisiologica cifosi ancor più si adatta alla flessione anteriore con ulteriore “imbutizzazione” del corpo sternale.

Quello che avveniva dal punto di vista chirurgico ve lo lascio solo immaginare. Altissima abilità e manualità chirurgica nel separare il piano posteriore dello sterno dalle strutture fasciali (endotoracica e pleurale) facendo attenzione ai legamenti sterno-pericardici e alle strutture vascolari sterno-mediastiniche.

Quello che ricordo con grande rispetto e nostalgia è quello che prima dell’intervento il Primario, Prof. Giorgio Vincre*, che umilmente seguivamo io, con i mie grandi amici Paolo, Filippo e Marco, spiegava ai giovani (!) che chiedevano consulto…<<non vi è nessuna differenza funzionale, respiratoria, potenziale tra un soggetto normale ed uno con sterno carenato o “ad imbuto”…solo un fatto estetico, ma in quel “solo” ci sta tutta la vita di un individuo…>>.

I pazienti, la loro vita, l’atteggiamento nei suoi confronti, l’aspetto morfo-psico-funzionale erano concetti di cui non conoscevo neppure la reale concettualizzazione. Certo vedevo che i pazienti per patologie comuni avevano aspetti e atteggiamenti simili ma era difficile anche il solo pensare che fosse così importante la relazione tra l’atteggiamento e la morfologia. Essere chiusi o aperti, affrontare o scappare erano cose troppo filosofiche per poter essere anche solo immaginate in un ambito medico…eppure il Prof. un giorno nel suo studio disse una frase che ancora ricordo a proposito di questi pazienti e che correlava la morfologia del viso e del cranio (palato, fronte, maxilla) con la presenza di alterazioni sternali e della colonna nei piani sagittali e frontali. E questo, se permettete, negli anni ’80 non era molto diffuso tra i chirurghi.

A conferma della assoluta identica funzionalità respiratoria erano le Prove di Funzionalità Respiratoria (PFR) che non evidenziavano alcuna differenza significativa tra i pazienti dismorfici e quelli normali. Era semmai la presenza di una cattiva funzionalità respiratoria (dinamica diaframmatica i.e.) l’elemento prevalente.

Nei casi che ricordo di aver seguito nelle varie fasi pre-, peri- e post-operatoria emergeva l’aspetto di correlazione con la regione dorsale: riguardando ora con “altri occhi” spesso la cifosi alta e la rettilineizzazione del tratto sottostante all’apice scapolare era presente nelle forme ad imbuto, con tensioni che possiamo assegnare con dominanza ai legamenti sterno-pericardico-vertebrali. Nei toraci carenati le vertebre dorsali possono trovarsi prevalentemente  in atteggiamento iperesteso (rettilineo pertanto con apertura degli spazi intercostali) a cui si associa un aumento della lordosi cervicale che sarebbe forse da ricondurre ad una maggior tensione degli scaleni con elevazione della 1a e 2a costa; ricordandoci la relazione della 1a con il manubrio sternale e la 2a con l’angolo di Louis dove meglio si caratterizza il carenato trasverso alto. Nei carenati con prevalente “esposizione” dello sterno si apprezzano le densità cartilaginee sterno-costali che spesso vanno in sofferenza (condriti molto più frequenti)

Distinguere le tipologie dei dismorfismi ci consente di comprendere quali sono le strutture su cui agire nello specifico.

Ogni volta che osserviamo un paziente dovremmo pertanto davvero aprire lo sguardo con un obiettivo grandangolare, dare forza e concretezza a quello che consideriamo la nostra priorità: l’individuo.

Vi saluto

firma davide_1

*ecco chi era il Prof. G.Vincre dalle parole scritte dal suo allievo e collaboratore per molti anni, il Dott. Mantovani, anch’esso maestro di tenacia e di determinazione nella mia vita professionale che non smetterò mai di ringraziare, in particolare per i “cazziatoni” che mi hanno formato: <<Il professor Giorgio Vincre (1928 – 2001), Ordinario di Clinica Chirurgica Generale dell’Università degli Studi di Milano ha lasciato l’insegnamento nel 1997. È utile, per meglio scoprirne la personalità ed cogliere il valore del suo operato dividere la sua carriera in un primo periodo di attività in ambito ospedaliero, dapprima quale frequentatore presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, allievo del professor Theo Rock, grande esperto della chirurgia esofagea e successivamente presso l’appena sorta Divisione di Chirurgia Cardiotoracica dell’ospedale Maggiore di Niguarda, dove, sotto la guida del Professor Angelo De Gasperi, grande pioniere della Cardiochirurgia Toracica in Europa, ha maturato una grande esperienza in queste due discipline, allora riunite.

Si era agli albori di queste due branche specialistiche, i pazienti che afferivano a quella Divisione provenivano da tutta l’Italia e in quella sede è maturata la consuetudine, di cui è sempre stato accanito cultore, nel cercare di conoscere, oltre al problema medico, la provenienza geografica, culturale, ma soprattutto l’ambiente famigliare dei pazienti. Questa ventennale esperienza lo ha poi portato all’Ospedale Policlinico di Milano, dove il Professor Armando Trivellini, Direttore della Clinica Chirurgica, lo chiamò a ricoprire il ruolo di responsabile della nuova sezione di Chirurgia Cardiotoracica e gli affidò successivamente la direzione dell’omonima Divisione Universitaria.

Tutti questi anni che lo hanno visto protagonista e pioniere della Chirurgia Toracica in Italia, sono stati caratterizzati dalla dedizione costante al lavoro ed all’insegnamento quotidiano sul campo e successivamente in ambito accademico, prima come professore Aggregato, poi come Professore Ordinario, dapprima di Chirurgia Toracica, successivamente di Patologia Chirurgica e Clinica Chirurgica. L’Ospedale Policlinico fu in quegli anni luogo di una grande attività di ricerca, clinica e sperimentale. In ambito chirurgico nacquero le esperienze del trapianto di fegato, polmonare e di rene. Insieme al Professor Galmarini, suo strettissimo collaboratore ed amico il Professor Vincre si dedicò a queste attività sperimentali e cliniche che culminarono nella sua partecipazione al primo trapianto epatico eseguito a Milano.

A chi ha avuto la fortuna di conoscerlo dapprima come studente e di averlo poi come Maestro nel crescere della propria esperienza professionale di medico e di chirurgo ed ha potuto stargli vicino fino al commiato della carriera, restano impressi alcuni valori della persona: l’onestà nel giudizio clinico ed umano, l’eleganza dell’atto chirurgico, la signorilità nei confronti dei Colleghi che a lui si rivolgevano per un problema.

È vivace il ricordo del giro visita serale ai pazienti ricoverati: era l’occasione quotidiana per avere il polso della loro condizione clinica ma anche del loro animo, specie quello dei bambini più piccoli che allora erano ricoverati insieme agli adulti, e che riuscivano sempre a farlo sorridere, anche nei momenti difficili. Per noi, suoi collaboratori, quel giro proseguiva con la valutazione dei casi clinici, davanti al diafanoscopio, valutando le radiografie e le stratigrafie. Non c’era la Tac, non si parlava ancora di ecografia, non si parlava di “centralità della persona”, ma ogni radiogramma aveva un nome e la faccia di un paziente che fuori dalla stanza delle riunioni attendeva con ansia che il Professore, uscendo, gli dicesse: “la opero la prossima settimana”>>. Angelo Mantovani