Commentario : Osteopatia e osteopati, ma chi parla di noi?
Facendo seguito all’articolo condiviso su Facebook alcune settimane fa estratto dal periodico dell’ENPAM (n.d.r. ente di previdenza dei medici) n. 8 del 2013, il mio punto di vista non può essere semplicemente racchiuso all’interno di poche righe postate sul social-network.
L’articolo pubblicato mette in evidenza alcuni ingenui errori chiaramente dipesi dalla difesa “di campo” del medico intervistato ma, non credo, della medicina tutta.
Personalmente la mia esperienza professionale, come medico e osteopata, si promuove da tempo nel trovare un punto di equilibrio tra questi due mondi che vengono spesso tenuti distanti e contrapposti (Medicina vs Osteopatia) sia da medici che da osteopati. I miopi e i fanatici di entrambe queste “fedi”, operano affinchè nulla possa passare dall’uno all’altro schieramento ma ancor peggio di integrarsi l’uno nell’altro. Questo articolo, purtroppo già dall’infelice titolo seppur virgolettato, sembra ancor più distinguere due ambiti che in realtà hanno convergenza comune nel benessere del paziente.
Non è affermazione populista ma è pur vero che in uno scenario sanitario sempre più controverso alcune figure professionali, che operano nell’ambito della salute e che di medicina di fatto si occupano, non vengano considerate come elementi complementari nell’ottenimento dei risultati ma solo come “scippatori” d’utenza.
Noi medici, noi terapeuti, noi clinici, abbiamo dovuto adottare terminologie che non appartengono alla nostra professione, come “COMPETITOR” e “MISSION”. Questi due termini sono , a mio parere, assolutamente fuori luogo nelle professioni che hanno, per necessità e virtù oltre che come punto focale, non solo lo stato di salute ma anche il cosiddetto semplice benessere degli individui e della persona “paziente”.
Qui di seguito mi permetto di indicare e commentare parti dell’articolo che risultano “fondamentali” nella discussione
- (1° punto) nelle prime righe dell’articolo si legge “c’è chi è convinto che i medici possano riappropriarsi del proprio ruolo ” . Trovo uno stridore, una stonatura, in questa affermazione perché cosa significa <<riappropriarsi del proprio ruolo>>? perché forse il medico ha perso il suo ruolo per colpa degli osteopati o dei chiropratici? non mi pare proprio così perchè dire che l’abbia perso forse è troppo ed errato. La competenza di un medico è la conoscenza delle specificità di ogni singolo “stato di salute” del proprio paziente e di quali sono le migliori indicazioni terapeutiche … non ritengo che appropriandosi di una abilità manipolativa che possa aumentare la sua autorevolezza ed efficacia, occorrerebbe ri-appropriarsi della capacità e della qualità dell’ascolto; d’altronde basta parlare con i pazienti e ascoltarli per rendersene conto.
Negli anni in cui mi sono occupato di formazione e di educazione ” di base” in ambito osteopatico ho avuto la possibilità di condividere le nozioni di fisiopatologia e le tecniche strutturali vertebrali con studenti di osteopatia con differenti background: fisioterapisti, massofisioterapisti, medici, infermieri e laureati in scienze motorie. Devo dire con grande amarezza che nella maggior parte dei casi proprio tra i laureati in medicina e chirurgia si trovava chi la formazione in osteopatia la vedeva come aspetto commerciale. Salvo pochi esempi, peraltro amici con cui condivido passioni e curiosità, che per necessità lavorative e professionali ovvie e coerenti dovevano abbandonare lo studio, altri lo abbandonavano sfruttando quel poco di visto (ndr imparare è ben altra cosa!) per praticare la professione osteopatica o addirittura iniziare a collaborare come medici-osteopati anche in percorsi di formazione di studio. Non dimenticando poi la arroganza con cui pretendevano di passare automaticamente gli esami delle cosiddette “materie mediche”, non considerando che anche la fisiopatologia poteva essere integrata negli aspetti osteopatici, con correlazioni integrate anche differenti da quelle che normalmente vengono spiegate in medicina.
- (2° punto) quando il medico intervistato riferisce la differente modalità di approccio per noi osteopati (globale) e per loro (limitatandosi all’aspetto muscolo-scheletrico) quasi ironizzando nella frase “credono di poter curare anche malattie internistiche”. Vorrei citare che vi sono molti lavori pubblicati e altre relazioni in Congressi Internazionali (ndr si guardi su PubMed ad esempio) che documentano quale sia l’interferenza delle manipolazioni osteopatiche, per lo più mediate attraverso il sistema neurovegetativo, nei pazienti ipertesi o sulla frequenza cardiaca in alcuni pazienti con disturbi del ritmo, chiaramente quando non di origine patologica cardiologica ma funzionale, o ancora in quelle condizioni denominate complessivamente come “disturbi dell’alvo” e “coliti” che in realtà trovano miglioramento dalle manipolazioni viscerali per miglioramento della vascolarizzazione e conseguente ripresa della peristalsi. Non possiamo dimenticare che sono state trovate correlazioni tra dolori “strutturali” proiettive all’apparato muscolo-scheletrico o articolare e organi o visceri addominali. Questo importa chiaramente un concetto di “globalità” che non può non essere considerato scientemente come modaiolo o “olistico” tout-court.
- (3° punto) Per quanto riguarda i problemi legali, dove viene affermato che vi sono azioni legali per lesioni o danni strutturali e come per questo motivo siano perseguiti anche i medici che danno indicazioni alla trattamento osteopatico, rimango veramente sbalordito dalla superficialità che si trova in questa affermazione. Affermazione che sà di terrostico, paventando chissà quali danni e miriadi di pazienti allettati o ancor peggio resi invalidi dalle manipolazioni. Vorrei solo ricordare che nelle scuole di osteopatia la formazione in 5 anni o 6 anni mostra una attenzione accuratissima negli aspetti manipolativi…lo stesso possiamo dire in corsi “short” ?. Se dovessimo poi quantificare i danni operati da osteopati in rapporto ai danni conseguenti a terapie mediche, farmacologiche o trattamenti chirurgici inappropriati non faremmo altro che indurre nella tentazione e di conseguenza rispondere a quella che, a mio avviso, sembra una provocazione. Suggerirei di non limitarsi a guardare ai soli aspetti medico-legali, che noi conosciamo molto bene. Inviterei infatti a leggere documentarsi sulla quantità delle ore che vengono svolte nello studio delle materie “mediche” propriamente dette. Di quanto si studi l’anatomia funzionale, dinamica, non solo quella palpatoria statica. Nella conoscenza delle correlazioni topografiche con apparati e strutture coinvolte in una manipolazione (ad es. sistema nervoso, vascolare, linfatico e non solo muscoli e ossa!). Meglio sarebbe preoccuparsi del risultato e nel guardare gli aspetti positivi di un trattamento osteopatico, non andando a trovare solo i rari aspetti negativi dei trattamenti o presunti tali.
Vorrei anche dire che il Registro degli osteopati d’Italia prevede un percorso formativo in cinque o sei anni che non portano soltanto allo studio delle materie mediche ma soprattutto un’aspetto pratico controllato che per il secondo medico intervistato risulterebbe più dannoso cioè la manipolazione: quando non insegnata nelle tecniche e sopratutto nelle indicazioni.
Vorrei proprio vedere come un medico, e io già lo ero quando ho iniziato il percorso formativo che è durato sei anni, possa essere in grado di eseguire una manipolazione vertebrale dopo sono solo 2-3 anni di corso e con un atteggiamento scontato (sono medico pertanto posso) come quello evidenziato nell’articolo.
Dovremmo preoccuparci di tenere uno standard qualitativo elevato nelle nostre professioni sanitarie, mediche e non, invece di denigrare tassativamente l’operato di altri professionisti che, formati e preparati, possono collaborare nel miglioramento delle condizioni di salute e benessere di così tanti individui che ricorrono a loro quando la medicina, cosiddetta ufficiale, di loro si cura solo con terapie sintomatiche, dimenticando il concetto di eziopatogenesi e cura delle cause e degli effetti.
Grazie per la vostra attenzione
D. Bongiorno